Ricerche

Com’è noto, l’esigenza di separare l’aggiudicazione dell’attività di progettazione da quella di esecuzione dell’opera risponde a ovvie logiche di miglioramento qualitativo sia del progetto, sia dell’opera pubblica in sé considerata.

Sebbene, infatti, a tale opzione corrisponda – almeno in apparenza – un incremento dei costi complessivi dell’appalto (dovuto alla duplicazione dei soggetti aggiudicatari), è stato ampiamente dimostrato, ed è altresì agevolmente intuibile, come la separazione fra progettazione ed esecuzione dell’opera riduca in modo sensibile il ricorso alle varianti in corso d’opera, nonché, più in generale, il rischio della lievitazione dei costi dell’opera medesima durante la fase di esecuzione dei lavori.

A questo orientamento si ispirava la prima riforma legislativa sui lavori pubblici del dopo-Tangentopoli, vale a dire la Legge n. 109/1994 (cd. Legge “Merloni”), che puntava decisamente sulla centralità della progettazione, individuando nell’autonomia del progettista rispetto all’appaltatore uno degli strumenti chiave per il conseguimento dell’obiettivo in parola. La gara per l’affidamento dei lavori poteva, pertanto, essere indetta solo all’esito dell’elaborazione e/o dell’approvazione del progetto esecutivo da parte della stazione appaltante.

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