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“INGENIO AL FEMMINILE”: ANCORA LUNGO IL CAMMINO DELLE DONNE VERSO LA LEADERSHIP

Nel corso dell’evento dedicato alle donne ingegnere, è stata presentata stamattina “Leadership al femminile”, la ricerca del Centro Studi del Consiglio Nazionale degli Ingegneri. In Italia le donne, in particolare quelle che svolgono le professioni tecniche, hanno fatto molti passi in avanti ma il cammino della parità è ancora lungo e complesso.

La strada che porta ad una presenza più consistente delle donne nelle posizioni di vertice delle imprese e delle Istituzioni è ancora lunga, richiede notevoli sforzi ed un salto culturale che molti Paesi avanzati devono ancora compiere. Questo l’orientamento che emerge dalla ricerca del Centro Studi del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, “Leadership al femminile”, presentata nel corso della terza edizione di “Ingenio al femminile”, in corso di svolgimento oggi a Roma.

“Nonostante molte conquiste del passato siano oggi considerate diritti acquisiti – ha commentato Armando Zambrano, Presidente del CNI - il cammino della parità è stato, ed è ancora oggi, lungo e complesso. A fronte dei cambiamenti del mercato e della maggiore istruzione delle lavoratrici femminili, l’equiparazione non c’è ancora. Spesso le donne risultano più istruite degli uomini, ma sono quasi sempre meno pagate, più a rischio di perdere il lavoro e meno libere di scegliere le proprie modalità”.

“La ricerca del Centro Studi che abbiamo presentato oggi – ha aggiunto Ania Lopez, Consigliere del CNI – è molto importante soprattutto perché dimostra come, nonostante siano stati fatti importanti passi in avanti, il ruolo delle donne ingegnere faccia fatica ad emergere. Analogamente la presenza delle donne nei ruoli apicali delle aziende è ancora marginale. Colpisce, in maniera particolare, il fatto che anche a livello europeo la rappresentanza femminile risulti ancora del tutto insufficiente. Se, dunque, l’Italia può dire di avere fatto un importante pezzo di strada, l’impressione è che a livello di Europa ci si sia fermati”.

In Italia le distanze di genere sono certificate da alcuni dati eloquenti: è pari al 19% l’indice relativo al gender eployment gap, ovvero la differenza tra il tasso di occupazione maschile e quello femminile: tra i più alti in Europa; è del 6% il gender pay gap ovvero l’indice che misura la differenza di retribuzione oraria tra uomini e donne in rapporto alla retribuzione oraria media degli uomini: anche in questo caso tra le performance peggiori del contesto europeo; il tasso di occupazione femminile si attesta attualmente al 50,3%, 13 punti sotto la media UE. Di fronte a questi numeri non solo l’empowerment femminile appare per molti versi un miraggio, ma anche la più basilare necessità di garantire una piena eguaglianza di opportunità di accesso nel mercato del lavoro.

La diretta conseguenza di questa complessa condizione di partenza è rappresentata dalla limitata presenza di donne nelle posizioni di vertice delle principali Istituzioni nazionali e nelle imprese. Anche se, sotto questo particolare aspetto, il Paese ha fatto passi in avanti, ponendosi allo stesso livello dei principali partner europei. E tuttavia non si può non osservare che la quota di donne presenti ai vertici delle diverse organizzazioni, pur in crescita resta persistentemente minoritaria, quasi sempre attestata su soglie inferiori o di poco superiori al 30%. E’ una quota ancora troppo bassa per un Paese come il nostro, in cui la parità di genere è ormai considerata come un valore di riferimento per la crescita sociale. Ad esempio, a fronte di un incremento del numero di donne che siedono nei board delle società quotate (da 170 nel 2008 a 621 nel 2015), le donne che attualmente rivestono il ruolo di amministratore delegato restano assai poche: appena 16.

Roma 25 febbraio 2016

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