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Gli studi di settore non vanno aboliti ma è necessario procedere ad un loro corretto aggiornamento, affinché corrispondano alle mutate condizioni economiche di chi svolge un’attività, in particolare i professionisti. Questa la posizione assunta dalla Rete delle Professioni Tecniche, sulla base di un’attenta valutazione effettuata dal suo Gruppo di lavoro Fiscalità.

“Gli studi di settore – afferma Armando Zambrano, Coordinatore della Rete e Presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri - sono stati fondamentali per la comprensione della vita economica delle professioni, grazie alle approfondite analisi svolte su una vasta platea di contribuenti. Ribadiamo, dunque, la necessità del loro mantenimento”.

“Tuttavia – aggiunge Zambrano - la crisi manifestatasi dal 2008 in poi ha profondamente inciso sulla realtà strutturale ed economico finanziaria dei liberi professionisti italiani. Una realtà che gli studi di settore attualmente non riescono a fotografare a causa della rigidità del sistema e dei limiti nell’analisi della crisi, soprattutto in relazione al livello dei compensi e la conseguente mancata considerazione degli effetti su congruità e coerenza. Pertanto occorre procedere ad una loro profonda revisione”.

La Rete delle Professioni Tecniche riconosce come gli studi di settore consentano il confronto fra i contribuenti e l’amministrazione finanziaria e siano di fondamentale importanza sia per le piccole imprese, sia per le professioni, nella prospettiva di una condivisa ed equa evoluzione del sistema tributario italiano. Inoltre, hanno contribuito all’adeguamento dei redditi dichiarati e forniscono preziose informazioni sulle attività e specificità delle varie professioni. Sono, quindi, un fondamentale strumento conoscitivo, di recente utilizzato anche per la valutazione del rischio assicurativo nella stipula di polizze collettive, grazie alla catalogazione delle prestazioni con la definizione di standard prestazionali. Si tratta, dunque, di uno strumento utile.

Proprio per questo, sostiene la Rete, è auspicabile il loro corretto sviluppo, in modo da ottenere una conoscenza migliore delle realtà economiche del comparto, favorendo un equilibrato rapporto tributario teso a contenere l’evasione. E’ necessario che gli studi di settore tengano conto del fatto che, per la maggior parte delle categorie, sono mutate le condizioni operative, con significative modifiche nelle tipologie delle prestazioni svolte. In numerosi comparti, per esempio, si è registrato un incremento del numero dei liberi professionisti, dovuto all’avvio dell’attività professionale da parte di molti giovani, non accolti nell’ambito del mondo del lavoro subordinato. Inoltre, si è verificato un cambiamento nella determinazione dei livelli tariffari nonché nelle condizioni di pagamento da parte della clientela.

“Occorre tenere conto di questa nuova realtà – aggiunge Andrea Sisti, Segretario Tesoriere della Rete e Presidente del Consiglio dell’Ordine Nazionale dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali -. Riteniamo, ad esempio, che si dovrà considerare l’esclusione dagli studi di settore per alcune professioni marginali ed atipiche di cui non è possibile la determinazione presuntiva dei compensi. Più in generale, gli studi di settore, al pari del redditometro, andrebbero mitigati. Devono rimanere una presunzione semplice, strumenti atti a segnalare anomalie rispetto al reddito dichiarato. Nell’attuale realtà, invece, spesso costituiscono un peso ingiustificato per i contribuenti onesti e, al tempo stesso, risultano inefficaci per “stanare” i contribuenti meno onesti”.

La Rete delle Professioni Tecniche è un organismo che rappresenta circa 650mila professionisti tecnici italiani. Ne fanno parte i Consigli Nazionali delle seguenti professioni: Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori; Chimici; Dottori Agronomi e Dottori Forestali; Geologi; Geometri e Geometri Laureati; Ingegneri; Periti Agrari e Periti Agrari Laureati; Periti Industriali e Periti Industriali Laureati; Tecnologi Alimentari.

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